mercoledì 12 dicembre 2018

Non è Sfera che uccide (anche se fa schifo).

Un grande della letteratura italiana del '900 ebbe l'ardire di sfidare la sensibilità dei più sostenendo, da una cattedra universitaria, che "I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli". Io, che imbecille lo sono davvero e non oserei mai mettere in dubbio le analisi del prof. Eco, faccio la mia parte nel serrare i ranghi della legione di imbecilli che sproloquiano riguardo i fatti di Corinaldo.

Per quanto trovi stucchevole la retorica, in cui a volte mi capita di cadere, del confronto tra generazioni, non si può negare che prima di 50/60 anni fa non esistevano raduni notturni di adolescenti sballati. Hanno iniziato gli hippie, con i Beatles di "Lucy in the sky with diamonds", con Jimy Hendrix, che la leggenda vuole abituato ad incastrare gli acidi sotto la fascia che portava sulla fronte per fare in modo che sciolti dal sudore entrassero direttamente in contatto con il sangue di piccole ferite appositamente procurate nella zona, con Jim Morrison che pisciava sul pubblico dal palco... negli anni in cui questi signori venivano alla luce milioni di ventenni venivano ammazzati sui campi di battaglia in tutta Europa. Quello si, che è stato un profondo strappo generazionale. 
Poi però niente più guerre, niente più febbri spagnole, niente più guerre e niente più strappi generazionali. I padri nati in tempi duri hanno deciso di crescere i propri figli risparmiando loro le difficoltà sopportate nell'infanzia ed eccoci qua.
Sfera fa schifo.
Quattro quinti della produzione rap, trap, dubstep, rock, latino e pop fa schifo a livelli epocali. Lo schifo è davvero epico (sono si un imbecille ma sono anche superbo ed altezzoso) ma la cosa interessante è che risulta comunque orecchiabile e ti resta ben piantato in testa. 

I produttori discografici hanno affiancato in tutto e per tutto i grandi pubblicitari e la musica che diffondono non ha altro scopo che catturare l'attenzione del pubblico a livello viscerale. Avete presente i toni binaurali, che sono in grado, se correttamente modulati, di stimolare le onde elettromagnetiche del cervello e catalizzare questa o quella reazione fisiologica? Ecco: niente di troppo diverso. Un tono binaurale è però qualcosa di non vendibile. Siamo schietti: un gattino artigliato alle gonadi potrebbe essere più divertente.
La musica commerciale ha sviluppato strategie che mirano allo stesso risultato e che, con le dovute proporzioni, fanno in modo che un prodotto piaccia o meno. Nell'epoca di youtube, molto più che nell'epoca MTv, non si parla solo di musica ma di audio/video. Occorre creare quindi un prodotto complesso che sia in grado di presentare vari elementi attentamente equilibrati in modo da catturare l'attenzione il più efficacemente possibile.
Una bella sfida nell'epoca dei disturbi dell'attenzione!!
Un esempio di strategia musicale utilizzata per vendere senza troppo sforzo è quello che viene definito millennial whoop. E poi i bassi. I bassi mi fanno impazzire! Sarà per il mio passato da bassista ma quando sento un drop ignorante mi innamoro all'istante.
Stesso discorso vale per il relativo supporto video. Fotografia e regia non hanno niente della personale sensibilità di chi sta dietro la macchina da presa ma è tutto ben studiato per stimolare questa o quella sensazione nell'osservatore. Nello specifico, metti tanti bei culi in una bella festa in cui i partecipanti sembrano divertirsi e porti a casa la pagnotta.

Beninteso, sono consapevole del fatto che non sto analizzando un fenomeno che funziona così solo adesso. Colpire l'attenzione del possibile consumatore è la ragion d'essere della pubblicità e va da se che il pubblicitario più efficace è quello che sa innovarsi più dei concorrenti. Ma più dell'innovatore, quello che fa i soldi grossi è lo spregiudicato. Allargare il proprio bacino di acquirenti (se vogliamo anche di elettori) è del tutto legittimo! 
Ecco, magari quando allarghi il tuo bacino di acquirenti a dei bambini qualche remora dovresti averla.

Il problema, tuttavia, è di carattere esclusivamente culturale.
Con cultura non intendo discutere l'influenza di Kant nel pensiero di Kirkegaard, fumando un Romeo y Julieta, mentre si ossigena un Cardenal Mendoza nello snifter con una sonata di Mahler in sottofondo. Sarà che a Mahler preferisco Liszt, che al cubano preferisco il toscano e che al brandy preferisco il burbon, ma chi si da troppe arie di intellettualità non è diverso dal bullo che ti esclude dal suo gruppetto perché non hai le scarpe firmate.
La cultura che manca è la capacità di mettere in fila le proprie conoscenze, collegarle tra loro nei vari punti che le compongono e sviluppare un proprio pensiero con il quale filtrare l'osservazione che si fa del mondo. 
Questo è ovviamente possibile solo con la guida di un maestro. E tanti più maestri si hanno, tanto più le conoscenze e le interconnessioni tra loro sono cospicue e tanti più strumenti si hanno per interpretare la realtà. Realtà, che fa bene ricordarlo, è una sola: la Terra è rotonda, attira a se corpi che le si avvicinano ad una certa distanza e viene da  loro attratta!

E invece, nell'epoca della libera circolazione dei contenuti e delle idee, abbiamo rinnegato la figura del maestro: gli insegnanti sono inetti da insultare, i filosofi sono idioti che sparano paroloni incomprensibili, i preti tutti pedofili, i politici tutti corrotti, i medici lavorano per le case farmaceutiche... la colpa? Del maestro che dovrebbe insegnare ad imparare dai maestri: il padre.
Ma negli anni '50 i reduci dal fronte non avevano voglia di fare gli educatori (a ben vedere, direi: dovevano combattere la sindrome post traumatica da strress che non era ancora stata descritta e per questo venivano tacciati di essere semplicemente "scemi di guerra"), i loro figli hanno occupato le università negli anni '60 e '70, i figli di questi si sono massacrati nel nichilismo anarchico punk degli anni '80, poi la tecno e l'house dell'ecstasy nei '90 e gli ultimi venti anni lo conosciamo bene tutti.
Per questo abbiamo un esercito di bambini che a tredici anni si sono fatti da se, non vogliono più soffrire per amore, giurano che non berranno mai più, hanno sempre un preservativo nel portafogli, curano l'emicrania con il moment, sanno dimostrare con la ragione che Dio non esiste e all'una di notte sono a fare la fila per entrare in un locale a sentire un concerto.

Mi si consenta una piccola digressione all'insegna del "ai miei tempi". Mentre stendevo quest'ultimo paragrafo ho avuto un flash della mia infanzia, in cui ad ogni festa comandata in casa c'erano almeno venti persone di cui la metà erano bambini che correvano come unni tra le gambe degli adulti rincorrendosi rischiando di distruggere casa. A ripensarci oggi, era fantastica la scoppola tirata senza alcun motivo, di tanto in tanto, da adulto al bambino (maschio) che gli passasse vicino, un po' a voler dire "gioca e divertiti ma non ti dimenticare che sei un bambino e riga dritto!".

Torno serio.
Mai come adesso la produzione artistica è stata autoreferenziale ed onanista. 
Non è una questione di turpiloquio o di forme verbali: Achille Lauro che nella sua "Sembra di stare a Thoiry" usa una licenza poetica non più irriverente del futurismo di Marinetti e vorrei incontrare chi avesse il coraggio di fare le pulci a Guccini per la sua Avvelenata.
E' il nulla cosmico che elogia se stesso ad essere preoccupante. L'orizzonte della propria realizzazione si esaurisce nel consumo spasmodico di qualunque bene effimero ed alla riduzione dell'io e del prossimo al bene effimero da consumare.
Questo circolo vizioso che soffoca qualunque tentativo di elevazione dell'Essere, come scrivevo più su, non è tipico del genere trap, anche se questo si basa quasi esclusivamente sull' autocelebrazione e sull'ostentazione del consumo in se, ma è fondamentalmente trasversale. Un brano recente che ho particolarmente amato sin dai primi ascolti è Rockin' with the best dei P.O.D. Il ritornello recita "Who rocks the party, that rocks the body? I rock the party, that rocks the body You rock the party, that rocks the body (You're now rockin' with the best)" che tradotto senza troppe pretese esegetiche assomiglia a "Chi scuote la festa che ti scuote? Io scuoto la festa che ti scuote! Tu scuoti la festa che ti scuote! (E' il numero uno che ti scuote!)". Anche qui autoreferenzialità e poco altro (a me sembra di cogliere un tentativo di dissing nei confronti di Devil without a cause di Kid Rock, ma questa è un'altra storia).
Mi si dirà che anche Mina, con la sua Brava, ha voluto ostentare quanto sa fare. E' vero, ma vuoi mettere? Ad una con quella voce e con quella padronanza della tecnica direi che si può perdonare qualunque sterile velleità.

In conclusione, sono conscio del fatto che non avrebbero mai messo Verdi in cartellone se non avesse riempito i teatri (e quindi fatto guadagnare gli impresari) ma quello a cui assistiamo oggi è un'altra cosa. La musica popolare è il palloncino rosso di Pennywise, la caramella del pedofilo al parco: fa leva sugli istinti più bassi per indurre il pubblico a consumare il proprio tempo, la propria salute, il proprio equilibrio interiore e la propria vita tutta, in modo che questo sia remunerativo per chi muove i fili. E tutto il resto? Evaporato. E lascia l'uomo moderno alla mercee di chi lo considera un bancomat senza plafond.
E allora ascoltiamoci pure Sfera Ebbasta (a me piace di più G.bit) ma non dimentichiamoci che siamo naturalmente votati all'infinito e che valiamo molto di più dei 30 euro del biglietto, consumazione inclusa, di un concerto!

giovedì 6 dicembre 2018

Della legittima difesa di se e dei propri averi

Condivido alcune considerazioni personali circa i fatti di Arezzo che credo possano essere uno spunto di riflessione su tutti i casi simili riportati dalla stampa.
Come succede che l'uomo qualunque, quello che esce la mattina per andare al lavoro, quello che passa oltre mezza giornata lontano da casa per tirare su uno stipendio si trovi con un morto sulla coscienza?
Vorrei saltare a piè pari tutta la retorica sullo Stato assente e bla bla bla. Tutta fuffa sterile.
Presa coscienza del fatto che la sicurezza è effettivamente un problema quasi completamente nelle mani del singolo, come può l'uomo qualunque proteggere i propri averi senza dover ammazzare qualcuno?
Anzitutto si deve fare mente locale ed accettare che quello che accade nella realtà è lontano anni luce da ciò che siamo abituati ad immaginare.
Figuriamoci un brusco risveglio nel cuore della notte: abbiamo i sensi intorpiditi, la vista offuscata, la percezione dell'io nello spazio sballata e non siamo in grado di valutare immediatamente tutte le variabili di ciò che sta succedendo. Basterebbe una torcia puntata in faccia per finire KO. Se in quelle condizioni avessimo una pistola carica nell'immediata disponibilità, questa non sarebbe più utile di un cotton fioc!
Per poter far fronte ad un eventuale aggressore armato, si deve essere in grado di attuare quella che tecnicamente viene definita una reazione immediata discriminante e selettiva.
Immediata perché una volta identificata la minaccia il tempo di reazione deve tendere allo zero, discriminante perché si deve essere in grado di discriminare l'aggressore dalla propria moglie e selettiva perché se ci sono più aggressori va colpito per primo il più pericoloso.
Questo avviene in uno stato di forte stress, in cui il cuore batte più velocemente e l'adrenalina sequestra il sangue dalle estremità del corpo per far funzionare più efficientemente e più a lungo possibile gli organi vitali. E' verosimile che le mani prendano a tremare e sia pressoché impossibile mantenere la concentrazione. Alla faccia del sangue freddo che serve a gestire una situazione tendenzialmente letale.
D'altra parte anche il più esperto tra gli operatori del G.O.I. sa che uno scontro a fuoco è sempre un lancio di dadi e che in fase difensiva bisogna evitarlo il più a lungo possibile.
Restando ai fatti di cronaca più frequenti però ci accorgiamo che non si tratta quasi mai della banda di Arancia Meccanica ma di ladri comuni più o meno specializzati.
Tra loro, tutti sanno cosa rischiano e sanno che se alla fine del colpo vengono arrestati una "violazione di proprietà privata" pesa meno di un "furto", che a sua volta vale meno di un "lesioni", che a sua volta vale meno di un "sequestro di persona", che a sua volta vale meno di un "omicidio" che al mercato mio padre comprò.
E' verosimile che con un semplice "tana per il ladro", questo desista e, almeno per il momento, si ritiri e pertanto, con la stessa cifra spesa per ottenere un'arma è consigliabile munirsi di un buon impianto di allarme che faccia tanto rumore, tanta luce e che, soprattutto, faccia partire una segnalazione a chi è già in piedi e pronto ad intervenire.
A meno che non viviate a Fort Knox chiunque, con i grimaldelli nella serratura, vedesse attirata su di se l'attenzione in questa maniera se la darebbe a gambe.
Ma se il bottino custodito dovesse essere di reale valore tanto da giustificare un'incursione con, a questo punto, presa di ostaggi ci si troverebbe in una condizione di rimonta sullo spropositato vantaggio che avrebbero gli aggressori. Si avrebbe il tempo di svegliarsi, di fare mente locale e di valutare la strategia da utilizzare (si dovrebbe almeno averne valutate alcune nel momento in cui si è fatto installare l'allarme).
Nell'attesa che le FFOO o la vigilanza arrivino si deve però gestire la situazione in autonomia.
A questo punto è doverosa una piccola digressione per chiarire i ruoli interpretati.
Se si subisce un'aggressione, sia essa una semplice intrusione, una rapina o qualsiasi altra specie, la vittima fa la vittima e mai (MAI) il giudice ne tanto meno il boia.
Il compito da svolgere è limitare i danni.
Sparare alle spalle al ladro che scappa è aver giudicato un uomo colpevole, averlo condannato a morte ed averlo giustiziato.
Se non siete Stallone in Dredd, lasciate perdere o i danni anziché limitarli li avrete causati.
L'utilizzo di un'arma deve essere subordinato alla conoscenza e, nel limite del possibile, ad una buona padronanza della propria dotazione.
Per ottenerle c'è un solo modo: evitare Youtube e frequentare un poligono di tiro. Quelli che si vedono fare i fenomeni su internet sono sportivi o professionisti che sparano due o tre mila cartucce al mese e che per quel video hanno scelto la migliore tra le performance riprese. Sanno che in quell'occasione non rischiano di venire uccisi e colpiscono sagome immobili. La peggiore situazione in cui ci si può venire a trovare nella realtà, cercando di limitare i danni come sopra detto, è che davanti ci si trovi un energumeno disposto a morire e ad ammazzare, che si sposta, vedendoci, e tira verso di noi, che invece non vediamo troppo bene (il famoso lancio dei dadi).
Ora, se proprio si vuole un'arma questa deve essere tenuta lontana dal letto. Anche carica se lo si ritiene, ma lontana dal letto. In questo modo andando a recuperarla si ha qualche momento per riprendere conoscenza ed un po' di lucidità.
La legge italiana consente di detenere un notevole quantitativo di armi e munizioni (per i dettagli a riguardo rimando alla sezione dedicata nel sito della Polizia di Stato http://www.poliziadistato.it/…/16978-Armi_le_regole_per_es…/) ma sulla scelta la discrezionalità è totale.
Di seguito riporto alcune mie valutazioni pratiche che vantano carattere esclusivamente personale e teorico.
La migliore arma per la difesa abitativa, posto che si sia dotati di un impianto di allarme come sopra descritto, a mio avviso è un fucile a pompa.
La lunghezza della canna non deve essere troppo accentuata per consentire lo spostamento in spazi angusti come corridoi e porte e il calcio deve essere compreso.
I motivi di questa scelta ricadono su tre aspetti dell'impiego dell'arma.
Anzitutto essendo un'arma lunga più essere usata come un bastone: se si coglie l'intruso alle spalle, lo si può rendere inoffensivo senza sparargli (non siamo giudici o boia e dobbiamo solo limitare i danni).
Poi va considerato il rumore del caricamento di un fucile a pompa. Anche il più convinto obbiettore di coscienza saprebbe riconoscerlo e, ameno che non ci si trovi davanti di un ex reparti speciali dell'esercito romeno, sentendolo, in dieci minuti si ritroverebbe a gustare un gelato sul lungomare di Viareggio.
Se nonostante l'allarme con luci, sirene e chiamata, l'aver trovato lo stabile abitato e sentito il rumore del caricamento del fucile a pompa, il malintenzionato ha deciso imperterrito di giocarsi il tutto per tutto, è possibile utilizzare del munizionamento non letale. Con un cal.12 si può sparare, con il calcio ben saldo sulla spalla, una rosata in pallini di gomma che bucano la pelle, fanno un male maledetto ma, a meno che non si spari da un metro di distanza in pieno volto, non sono letali. L'utilizzo di munizionamento non letale è importante anche e soprattutto perché, nonostante lo stupore generale che leggo tra i commenti agli avvenimenti, i proiettili rimbalzano e una volta fuori dal vivo di volata, dove andranno a finire se mancano il bersaglio non lo può sapere nessuno. Non sia mai che finiscano in faccia alla propria moglie.
Nel caso in cui si riesca a chiudere l'intruso in una stanza non si sta compiendo un sequestro di persona e non si può essere perseguiti, a patto che si eviti di torturarlo e lo si consegni immediatamente agli organi competenti. Se invece si spara, il passaggio davanti al giudice è sempre ed in ogni caso inevitabile.
Ce ne sarebbero ancora molte da dire sulla legislazione vigente ma magari rimando ad un post futuro e dedicato.

venerdì 16 febbraio 2018

Il processo a Cappato(!) e la miopia intellettuale(?)

Marco Cappato ha vinto la sua battaglia.
Las sentenzadella Consulta deciderà se l'aiuto al suicidio dovrà essere normato o continuare ad essere punito. Se non ammettiamo che l'esito di questa sentenza andrà a cambiare la percezione che la società ha sull'argomento, o siamo ciechi e cerebralmente incapaci o siamo in malafede.

Anche questa volta una legge farà cultura. Così è stato col divorzio, con l'aborto, con il lento smantellamento della legge 40, con il matrimonio egualitario mascherato da unioni civili e con l'introduzione del biotestamento (che guarda caso è stato approvato a Camere sciolte proprio poche settimane prima di questa svolta giudiziaria).

Quando una delle questioni che riguardano la dimensione più intima e profonda dell'uomo arriva in Parlamento, la direzione e l'esito della discussione è una certezza.

Trovo curioso come chi, per sostenere queste battaglie, si vanta della propria apertura mentale si incisti allo stesso tempo solo sull'aspetto più superficiale della questione.

Ricostruendo velocemente la vicenda che ha portato al processo cui mi riferisco possiamo dire che nel '17 è balzata agli onori della cronaca la storia di Fabiano Antoniani (rifiuto di riferirmi a lui con uno sterile Dj Fabo. Il dj è un mestiere e ricade nella sfera del "cosa fai" mentre parlando di persone preferisco restare nell'ambito del "CHI sei"). Fabiano è quello che, in famiglia, definirei un povero Cristo che si è visto crollare addosso tutto il mondo tranne un pezzetto. Faceva il dj e viveva di feste, viaggi e bella gente. Un incidente gli ha portato via tutto tranne la vita. Pressoché paralizzato, cieco e con grosse difficoltà ad esprimersi, dopo qualche anno dall'incidente arriva a pensare che per lui sarebbe meglio farla finita. Chi crede che non avrebbe gli stessi pensieri dovrebbe rileggere qui sopra e se continua a non averli, forse qualche problema ce l'ha.

Il fatto è che per l'ordinamento giuridico italiano la vita non è un bene disponibile così come non lo sono i propri organi e tessuti. Non puoi venderli ne barattarli. Non ti puoi suicidare.

Ma se uno sceglie liberamente di vendere un rene per pagarsi una vacanza alle Maldive, posso io decidere che non può farlo? Sono io il gestore della felicità delle persone?

Se un mio amico raggiunge un livello di disperazione estremo, esattamente come il povero Fabiano ma senza l'invalidità fisica, devo amarlo, compatirlo ed accompagnarlo da un bravo psichiatra o nel suo best interest mettere un colpo in canna alla mia Glock e lasciarlo da solo in una stanza con un bicchiere di vino che lo aiuti a trovare il coraggio per fare il resto?

E se lo accompagno da quel bravo psichiatra, il suo compito è quello di aiutarlo ad uscirne o di aiutarlo a coltivare l'idea del suicidio?

Io credo che Cappato sia quello che ha messo il colpo in canna per poi dare la pistola in mano ad un disperato. Un criminale pezzo di merda che ha montato un caso giudiziario sulla pelle di un povero Cristo che non ha potuto sopportare il dolore della vita che gli è toccata.

E la questione non è agevolare le scelte di chi non è in grado di farlo da solo. Lo dico a tutti quelli dalla mente aperta che si sono lasciati il medioevo alle spalle e che pontificano sulla giustizia intrinseca all'autodeterminazione. State attenti! State dicendo a tutti i disperati, che la loro vita è una merda e che se vogliono togliersi di mezzo hanno il vostro benestare.

Con che faccia riuscireste a dire a vostro fratello che lo amate e che lo assistereste nonostante le difficoltà ma che se decidesse di suicidarsi lo spingereste giù dal cornicione?

La mia speranza è che contro ogni pronostico, la Consulta sentenzi che la Costituzione e la legge oggi vigenti restino il sentiero da seguire e che chiunque pubblicizzi attui o semplicemente favorisca in qualunque modo la morte di qualcun'altro venga considerato niente di diverso dall'assassino che è; e che se qualcosa il Parlamento deve aggiornare, questa è l'accessibilità a fondi e personale per l'assistenza dei più deboli e delle famiglie a cui appartengono (si, voglio che lo Stato spenda valanghe di fondi pubblici per curare gente improduttiva e destinata SOLO a succhiare soldi dalle casse del Servizio Sanitario Nazionale prima di morire rantolando, magari, un astioso "governo ladro").

Se così non fosse, sarebbe del tutto analogo a Marco Cappato un Luca Traini qualsiasi, che dopo aver strutturato una campagna di sensibilizzazione, magari con l'aiuto di media orientati, di video, testimonianze e reportage struggenti, sparasse in testa ad un qualunque spacciatore per poi costituirsi e dichiarare davanti al giudice che il suo gesto altro non è stato che l'azione che ci si aspetta dallo Stato ma che, per una presunta sudditanza morale ad una certa ideologia, non arriva.

Così è stato in passato, così è oggi ma se così sarà possiamo ancora deciderlo.

domenica 21 gennaio 2018

Se la Bibbia non parla di Dio

La prima volta che ascoltai una conferenza di Mauro Biglino (non me ne voglia, nella remota eventualità nella quale dovesse trovarsi a leggere questa mia riflessione, se non uso il titolo dott., che trovo riduttivo, ne prof., che al contrario temo poter essere indebito) erano i tempi de “Il Dio alieno della Bibbia” del 2011.
Un monologo di due ore minuziosamente dettagliato nel quale dopo aver guadagnato la credibilità dell'audience snocciolando un curriculum di tutto rispetto, proseguiva ad esporre quella che doveva essere una tesi tanto rivoluzionaria quanto sconvolgente.
Lascio al lettore il gusto della ricerca e dell'ascolto di qualche suo contributo. Solo ad usare il nome come chiave di ricerca su YouTube ci si trova davanti ad una mole di video che rischia di far perdere la concezione del tempo.

Per riassumere brevemente la tesi in questione, la Bibbia non avrebbe niente a che fare con il Dio cui si votano ebrei e cristiani.
Partendo da una ricostruzione della storia che ha portato alla versione attuale del testo sacro e considerandolo alla stregua di un almanacco, ci troviamo davanti ad un sadico ma inefficiente condottiero militare non umano (Jhwh) cui sarebbe stata affidata la guida di un popolo umano (gli israeliti). Chi, nel lontano '94, avesse visto Stargate non avrebbe difficoltà a comprendere ciò di cui stiamo parlando.
Jhwh altri non sarebbe che un mortale estremamente longevo (pare che la sua specie vivesse tra i 30000 e i 40000 anni) venuto da una precisa regione dello Spazio (da alcuni versetti del Libro dei Salmi sembrerebbe risiedere nella costellazione di Orione) per ordine di una specie a lui superiore che tramite un'operazione di ingegneria genetica avrebbe creato gli Adamiti, i quali, custoditi in Eden (un giardino recintato e protetto), avrebbero ad un certo punto scoperto di potersi riprodurre senza l'ausilio dei “creatori” e per questo furono sterminati attraverso un'inondazione controllata (il celeberrimo diluvio altro non sarebbe stato che lo svuotamento di una diga costruita a monte di Eden).

Non posso negare che le conferenze di Biglino abbiano esercitato ed esercitino tutt'ora un forte fascino ed ammetto che non è raro che vada ad ascoltarmi anche solo degli estratti.

C'è, però, un'importante precisazione che Biglino ripete più volte in ogni intervento: lui non ha certezze e “fa finta” che quello che si legge nella Bibbia voglia dire esattamente quello che c'è scritto.
Questa precisazione è fondamentale perché crea i presupposti per considerare l'Antico Testamento, come ho per l'appunto precisato ad inizio post, una sorta di almanacco del popolo ebraico discendente dei più antichi Adamiti.

Un approccio del genere si pone in posizione diametralmente opposta a quella assunta dai teologi che ritengono invece la Bibbia un libro sapienziale e quindi da sottoporre ad esegesi ed interpretazione.
Mi è capitato uno scambio di parole con un biblista amatoriale il quale mi disse di considerare la Bibbia, oltre che un'opera, un genere letterario a sé.
Ecco che allora le strade sulle quali intraprendere il viaggio biblico si dividono dal principio.

Come era prevedibile le critiche non sono tardate e, per gli stessi motivi, non sono mancate neppure strenue difese. Il principio è chiaro. Se screditi la Bibbia in quanto libro sacro, crei i presupposti per la delegittimazione delle grandi religioni monoteiste e, soprattutto, delle strutture ecclesiali.

Togli Dio dalla Bibbia e togli ad ebrei e cristiani il diritto di esistere (niente più preti e puoi fare quel che vuoi. Ti pare niente?).
Personalmente non credo che questo fosse lo scopo che Biglino si è prefisso quando ha iniziato a divulgare i suoi studi. Anzi devo ammettere di essere fortemente convinto della sana voglia di diffondere una scoperta personale in grado, in un certo senso, di cambiarti la vita. Anche io se dall'oggi al domani dovessi trovarmi davanti alle prove che ribaltano concetti dati per assodati cercherei in tutti i modi di farlo sapere al mondo.

C'è però una questione della quale non riesco ancora a venire a capo.
Voglio provare a ricostruire questa mia perplessità, magari ho la fortuna di incontrare qualcuno disposto a discuterne e magari, fortuna chiama fortuna, ci aiutiamo a ragionare sulla questione.

Facciamo finta che l'approccio di Biglino sia quello corretto e che dunque, la Bibbia vada letta come un almanacco (in realtà un'interpretazione resta imprescindibile altrimenti anche come mera ricostruzione dei fatti non risulterebbe esplicativa di tutte le questioni poste).
C'è questa specie aliena che crea l'umanità, la distribuisce sul pianeta che ha colonizzato e la affida a dei condottieri che la utilizzeranno per i loro giochi di potere (pare che Alessandro Magno fosse un Elohim esattamente come Jhwh ma decisamente più valoroso ed efficiente). Da qui ogni racconto biblico è riconducibile a guerre e rapporti di potere tra Elohim e gli eserciti a loro assegnati.
Ne consegue che tutta la teologia e la saggezza giudaico-cristiana si sia fondata sulla manipolazione e sullo stravolgimento degli eventi e che il solo scopo di queste fosse quello di garantirsi una certa influenza sui popoli. Anche il Nuovo Testamento sarebbe in realtà una rielaborazione di fatti ben poco fraterni e pacifici.

Ciò che mi domando è se questo basti per vanificare l'immenso patrimonio umanistico e filosofico che ne consegue. Grattando un po' la suerficie di uno degli episodi presi in esame da Biglino mi chiedo: se anche “non uccidere!” fosse un comandamento, dettato da un essere finito al suo uomo sul campo, rivolto al solo popolo a lui assegnato in un momento di forti tumulti sociali e se anche la teologia cristiana avesse espanso l'area di interesse a tutta l'umanità sulla base di non si capisce bene quale dettame divino (?), non resta questo un insegnamento nuovo ed assolutamente condivisibile? E in più, non resta valido oggi come allora essendo l'uomo del suo intimo rimasto lo stesso nonstante i circa 5000 anni che ci separano dagli eventi narrati?

Al netto dei comportamenti deprecabili perpetrati dagli uomini, credo che il sentiero, tracciato dagli insegnamenti che derivano dai testi in questione e dalla filosofia e dalle religioni che ne conseguono, sia in tutto e per tutto una luce divina che permette all'uomo di vivere in armonia con se stesso e con i propri simili e di affrontare le questioni esistenziali che si porta dietro da quando ha smesso di essere una delle tante specie primate ed ha scoperto di essere stato creato ad immagine e somiglianza di Dio (chi non cede nel trascendente può sostituire con “ha sviluppato capacità, infinitamente superiori a qualunque altro essere vivente, indipendentemente dalla propria volontà”).

Mi chiedo se, a questo punto, l'approccio corretto non sia quello suggerito dal prof. Zichicchi il quale considera il mondo come la coesistenza di una sfera immanente e di una sfera trascendente da analizzarle separatamente senza cadere nella tentazione di utilizzare una per spiegare l'altra.

E allora leggiamo la Bibbia chiedendo alla storia ed all'archeologia di verificarne l'attendibilità dei racconti, ma non dimentichiamoci di cercare l'insegnamento che gli autori, ispirati da una forza più intensa di quella che muove la nostra intelligenza, hanno voluto tramandarci.

Scoprire che la città di Sodoma sia stata effettivamente distrutta dall'alto con una pioggia di fuoco talmente potente da rendere infertile il terreno circostante per secoli è estremamente eccitante, ma non è altrettanto eccitante sentirsi dire che la salvezza dell'anima viene proposta fino alla fine e che solo chi la rifiuta con tutte le forze se la vede negata.?

sabato 6 gennaio 2018

L'epopea di un tweet provocatorio: tra indignazione ed accondiscendenza

Il malato è la sua malattia?
Se un medico rispondesse affermativamente a questo quesito la sua vita professionale sarebbe decisamente semplice. Se arriva Tizio con una certa malattia basta sopprimerlo e la malattia sparisce. Pratico ed efficace.
Pragmatico, direi.

Ma se il malato non è la sua malattia le cose si complicano. Tanto peggio se il malato non è soltanto uno scimmione, per lo più spelacchiato, capace di far coincidere i polpastrelli del pollice con quelli di tutte le altre dita della mano.
Mario è un Uomo ed ha il cancro.
Maria è una Donna ed ha la meningite.
Luca è un Bambino e presenta un'aberrazione cromosomica che prende il nome di trisomia 21: Luca è un bambino down.
Se la medicina ha un senso, è quello di capire che cos'è il cancro, la meningite, la trisomia 21, da cosa sono provocati, cosa comportano in un organismo e come evitare che facciano danni. Se non si è potuto evitare di finire in quel casino bisogna cercare di sconfiggere la malattia al solo scopo di curare e, se possibile, guarire il malato.

A leggere un articolo dell' Huffington post, pare che in Islanda l'approccio allo studio della trisomia 21 abbia portato ricercatori e medici a gettare la spugna ed a investire sullo sviluppo di test prenatali in grado di stabilire quale percentuale di possibilità abbia un feto di portare l'aberrazione in questione.

A quanto pare, la prevenzione paga e in Islanda non nascono (qusi) più bambini down.
E' qui che mi riallaccio alla domanda di inizio post: gli islandesi hanno curato e guarito le persone affette dalla sindrome o hanno eliminato quelle persone. Se andiamo oltre il titolo ad effetto e leggiamo l'articolo scopriamo che la quasi totalità delle donne che si sottopongono al test, decidono di abortire incaso di esito positivo: hanno eliminato quelle persone.