sabato 6 gennaio 2018

L'epopea di un tweet provocatorio: tra indignazione ed accondiscendenza

Il malato è la sua malattia?
Se un medico rispondesse affermativamente a questo quesito la sua vita professionale sarebbe decisamente semplice. Se arriva Tizio con una certa malattia basta sopprimerlo e la malattia sparisce. Pratico ed efficace.
Pragmatico, direi.

Ma se il malato non è la sua malattia le cose si complicano. Tanto peggio se il malato non è soltanto uno scimmione, per lo più spelacchiato, capace di far coincidere i polpastrelli del pollice con quelli di tutte le altre dita della mano.
Mario è un Uomo ed ha il cancro.
Maria è una Donna ed ha la meningite.
Luca è un Bambino e presenta un'aberrazione cromosomica che prende il nome di trisomia 21: Luca è un bambino down.
Se la medicina ha un senso, è quello di capire che cos'è il cancro, la meningite, la trisomia 21, da cosa sono provocati, cosa comportano in un organismo e come evitare che facciano danni. Se non si è potuto evitare di finire in quel casino bisogna cercare di sconfiggere la malattia al solo scopo di curare e, se possibile, guarire il malato.

A leggere un articolo dell' Huffington post, pare che in Islanda l'approccio allo studio della trisomia 21 abbia portato ricercatori e medici a gettare la spugna ed a investire sullo sviluppo di test prenatali in grado di stabilire quale percentuale di possibilità abbia un feto di portare l'aberrazione in questione.

A quanto pare, la prevenzione paga e in Islanda non nascono (qusi) più bambini down.
E' qui che mi riallaccio alla domanda di inizio post: gli islandesi hanno curato e guarito le persone affette dalla sindrome o hanno eliminato quelle persone. Se andiamo oltre il titolo ad effetto e leggiamo l'articolo scopriamo che la quasi totalità delle donne che si sottopongono al test, decidono di abortire incaso di esito positivo: hanno eliminato quelle persone.



Ho trovato l'articolo scrollando la TL di Twitter e imbattendomi in un indignato Adinolfi che, come noto, ha posozioni nette riguardo certe tematiche. Anche io trovo che l'approccio islandese tradisca un pragmatismo tipicamente nazista e per questo ho voluto lasciare un commento a riguardo.




Subito passato pressocché inosservato, è stato dopo una dicina di giorni che ho iniziato a ricevere notifiche su notifiche.
Venivo preso ad insulti e auguri di infermità da sconosciuti che si erano imbattuti nel mio tuit.
Inizialmente, considerando la psizione ideologica di chi ha un certo atteggiamento nei confronti di Adinolfi, ho creduto di essere finito nella bolgia in cui sono relegati i condannati per "violazione dell'autodeterminazione della donna".
Solo dopo qualche ora ho capito cosa realmente stava scatenando tanto odio nei miei confronti.
Il mio tuit nasceva come critico nei confronti di chi considera il debole, l'anziano, il disabile, il non produttivo un peso da eliminare o quanto meno sacrificabile, nascondendosi dietro un velo di ipocrita buonismo fatto di voli pindarici sulla qualità della vita e la dignità dell'essere umano, ma era stato interpretato letteralmente. Come se io stesso fossi portatore di certe idee.
Avevo colto nel  segno: se dici apertamente che gli handicappati sono un costo e quindi è lecito ammazzarli, sei un nazista e ti meriti il disprezzo della comunità.
A quel punto non potevo che essere felice di ricevere tutti queli insulti perché non erano rivolti alle mie idee ma a quelle che criticavo e soprattutto venivano da coloro con i quali normalmente sono in disaccordo.
L'idillio è ovviamente durato poco. Almeno fin quando qualcuno non è tornato a porre la questione in termini più, diciamo così, delicati.
E allora nel momento in cui metti sul piatto della bilancia una mielosa analisi delle difficoltà che derivano da una certa condizione e sull'altro il tanto decantato diritto di scelta della donna, l'handicappato torna a poter essere considrato un peso ed un costo e, soprattutto, nessuno può permettersi di darti del nazista se sei la madre di quel disgraziato che ha la sola colpa di avere un DNA "difettoso".

Checché se ne dica, anche se difendo strenuamente posizioni nette, sono una persona che non riesce a non riempirsi la testa di domande. Soprattutto quando la risposta non è così immediata come google ci ha abituato.
E allora continuo a chiedermi: se il test restituisce un falso negativo e a parto eseguito ti trovi davanti ad un figlio "difettoso" , perché lo Stato dovrebbe proibirti di sopprimere quell'essere che avresti soppresso solo poche settimane prima se avessi saputo della sua condizione?
E se il test fosse effettivamente negativo ma complicanze durante il parto portassero il neonato ad avere gravi dsabilità?
E ancora, se il test risulta negativo e il parto va liscio, dirai al tuo bellissimo e perfetto figlio che se fosse stato un po' meno perfetto, non gli avresti permesso di esistere?
Se cade dalle scale a dieci anni e resta gravemente disabile? Vale ancora il discorso sulla qualità della vita e sul fatto che la tua esistenza verrà dedicata totalmente alla cura di un costo improduttivo?
Qual è il grado di disabilità otre il quale è lecito considerare quella vita indegna di essere vissuta? La trisomia 21? L'albinismo? Il labbro leporino? La vagina?

Credo che ci siamo spinti un po' troppo oltre ed abbiamo dimenticato di non essere semplici scimmioni, per lo più spelacchiati, capaci di far coincidere i polpastrelli del pollice con quelli di tutte le altre dita della mano. Siamo Uomini e siamo Donne! Non siamo ne la nostra utilità ne il nostro ruolo sociale ne il nostro reddito ne tantomeno la nostra produttività.
Per non ricadere neglio orrori nazisti che tanto deprechiamo (gli insulti che ho ricevuto dicono chiaramente che su questo siamo tutti d'accordo) torniamo a chiamare le cose col loro nome.

Sopprimere un disabile, un debole o un improduttivo, a qualunque età o stadio di sviluppo, non è un gesto di pietà: è eugenetica nazista.

Saremo, come società, in grado di imparare a prenderci cura dei nostri ultimi seminando senza l'aspettativa di raccogliere?

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